
Azione stealth e suggestioni sci-fi in un’avventura che cerca la sua identità tra luci e glitch
Sviluppato dallo studio italiano Storm in a Teacup, Steel Seed ci proietta in un futuro desolato, dove la Terra è stata messa in ginocchio da cataclismi ambientali e il destino dell’umanità è appeso a un filo, affidato alle cure (e al controllo) delle macchine. In questo contesto, il giocatore veste i panni di Zoe, una giovane donna potenziata ciberneticamente, accompagnata da Koby, un piccolo drone dotato di intelligenza artificiale e una buona dose di sarcasmo. Insieme dovranno farsi strada in una struttura sotterranea gestita da un’IA ostile, alla ricerca dei frammenti di memoria del padre di Zoe, trasferiti in digitale.
Se il mondo narrativo si appoggia a un’estetica fredda e affascinante, tra richiami a NieR: Automata, Blame! e Portal, è nel gameplay che Steel Seed tenta la sintesi più audace.
Steel Seed costruisce il suo gameplay su due anime distinte, spesso in tensione tra loro: lo stealth tattico e il combattimento diretto.
L’approccio furtivo è quello privilegiato, quasi suggerito dallo stesso level design: molte aree sono costellate di coperture, passaggi sopraelevati e percorsi alternativi che incoraggiano l’osservazione e la pianificazione. Zoe può sfruttare delle zone di glitch, che le consentono di rendersi temporaneamente invisibile (in maniera analoga a quanto succede in altri titoli con l’erba alta), permettendo così di evitare scontri, superare barriere laser o colpire silenziosamente un nemico isolato. Il tutto è rafforzato dal supporto di Koby, il drone compagno, che può distrarre le guardie, disattivare telecamere e persino infliggere danni, rendendo l’infiltrazione più dinamica e sfaccettata.
Il combattimento diretto, invece, è più contenuto nelle meccaniche, quasi ridotto all’osso ma funzionale. Le battaglie sono in tempo reale, con schivate, parate e attacchi leggeri e pesanti. Tuttavia, la semplicità dell’arsenale e una IA nemica non sempre reattiva riducono il peso strategico degli scontri, rendendoli più un’interruzione che un’alternativa pienamente soddisfacente all’infiltrazione.
Interessante è anche la struttura semi-aperta dei livelli: il gioco offre un certo margine di esplorazione, con collezionabili, upgrade nascosti e terminali da hackerare, incentivando i giocatori più attenti a deviare dal percorso principale. Inoltre, la possibilità di potenziare Zoe e Koby aggiunge un minimo di personalizzazione, seppur limitata.
Se da un lato Steel Seed dimostra un’ambizione lodevole nel cercare un gameplay ibrido, dall’altro si scontra con limiti tecnici e strutturali che ne frenano l’impatto: animazioni a volte rigide, telecamera non sempre perfetta negli scontri ravvicinati, e un’intelligenza artificiale piuttosto prevedibile. In alcuni momenti, il gioco pare suggerire un approccio meticoloso, ma la ripetitività delle routine nemiche e l’eccessiva clemenza nei confronti del giocatore rendono la sfida meno appagante di quanto non vorrebbe essere.
Tuttavia, Steel Seed brilla quando tutto funziona come dovrebbe: quando si entra in un’area sorvegliata, si analizzano i movimenti, si piazza Koby per disattivare un drone e si attraversa una zona senza essere visti, ci si sente davvero parte di un mondo ostile, dove la sopravvivenza dipende dall’ingegno più che dalla forza bruta.
Steel Seed è una dichiarazione d’intenti. È il tentativo di uno studio indipendente di imporsi con una visione forte e un gameplay stratificato. Non tutto è perfetto: la narrazione non osa abbastanza, e il gameplay avrebbe giovato di una rifinitura maggiore.
Ma nel suo insieme, Steel Seed è un’esperienza onesta e curata, che lascia intravedere un potenziale notevole, soprattutto se Storm in a Teacup deciderà di tornare su questa IP in futuro.
VOTO 7/10
Pro
- Tecnicamente di buona fattura
- Ambientazioni suggestive
- Discreta quantità di abilità
Contro
- Narrazione poco interessante
- Stilisticamente troppo anonimo
- Gameplay svilito da un IA troppo basilare