
In un oceano di videogiochi che divorano budget milionari a ritmo forsennato, ogni tanto affiora una perla più piccola ma carica di ambizione. Steel Seed è uno di questi: un progetto che sogna in grande senza l’ossessione di dover vendere milioni di copie per lasciare il segno.
Creato dalla mente di Carlo Ivo Alimo Bianchi e dallo studio italiano Storm in a Teacup, noto qualche anno fa per quel gioiellino di Close to the Sun, e pubblicato da ESDigital Games, Steel Seed si presenta come un’epopea sci-fi ambiziosa. L’obiettivo? Mischiare l’atmosfera epica di Halo con l’infiltrazione furtiva di Assassin’s Creed, il tutto con la grinta di chi sa che dovrà conquistare i giocatori con la sostanza, non con effetti speciali.
Il primo impatto è davvero sorprendente: nonostante il budget contenuto, Steel Seed riesce a dare l’impressione di un titolo di alto livello. Purtroppo, la magia svanisce rapidamente, soffocata da una personalità che non riesce mai a emergere davvero e da problemi tecnici che, seppur sporadici, risultano particolarmente gravosi.
Benvenuti nel futuro… dove l’umanità è solo un ricordo
In Steel Seed vestiamo i panni di Zoe, una giovane ragazza che si risveglia migliaia di anni dopo la fine della civiltà umana, scoprendo di essere stata trasferita nel corpo di un cyborg. Dietro questo incredibile evento si nasconde suo padre, uno scienziato visionario che, vedendo il mondo condannato da una catastrofe ambientale globale, ha deciso di caricare la coscienza di Zoe e di molti altri in sofisticate intelligenze artificiali.
Il suo piano era semplice quanto disperato: creare una rete di IA incaricate di purificare la Terra nel corso dei secoli, preparandola per il ritorno dell’umanità. Gli esseri umani, ridotti a “semi” (i Seed del titolo) in attesa del momento giusto, sono stati messi al sicuro all’interno di strutture ipertecnologiche governate da macchine.
Armata di una potente spada energetica, in perfetto stile Lightsaber, e accompagnata dal fedele drone Koby, Zoe deve attraversare immense distese metalliche, città robotiche decadute e macchinari giganteschi, in un viaggio che mette in gioco non solo la sua sopravvivenza, ma anche la possibilità di ridare speranza a ciò che resta del genere umano.
Peccato che, al di là di queste ottime premesse, la narrazione si riveli piuttosto piatta: mancano veri colpi di scena, la protagonista affronta tutto ciò che le accade senza mai mettersi realmente in discussione, e anche i momenti di interazione con Koby si riducono a brevi scambi ironici che, pur simpatici, non riescono a lasciare davvero il segno.
Combattimento stealth in salsa robotica
Steel Seed prende a piene mani dalle meccaniche stealth di Assassin’s Creed, mettendo l’infiltrazione al centro dell’esperienza. Muoversi tra sentinelle robot richiede pazienza e sangue freddo, anche se una buona strategia può fare la differenza: sfruttare i glitch fields – l’equivalente hi-tech dell’erba alta – e colpire dall’ombra è la chiave per eliminare i nemici senza farsi notare.
Se però qualcosa va storto e venite scoperti, preparatevi a un vero e proprio assalto di guardiani meccanici. Combattere a viso aperto è possibile, ma raramente consigliato, a meno che non stiate giocando a difficoltà minima. In queste situazioni, il supporto di Koby può sicuramente fare al caso vostro: il fidato drone non solo può marcare i nemici, ma è anche in grado di hackerarli temporaneamente, trasformandoli in alleati pronti a difendervi.
Con l’avanzare dell’avventura e lo sblocco di nuove abilità, Koby diventa una vera e propria arma segreta, ampliando le possibilità di approccio alle varie situazioni. Peccato che, al di fuori dei puzzle ambientali in cui è indispensabile, mi sia capitato di utilizzarlo raramente in combattimento – magari con una seconda run riuscirò a mettere davvero alla prova il potenziale del simpatico robottino.
Salti, corse… ma mai memorabili
Oltre ai combattimenti, una parte significativa dell’esperienza in Steel Seed è dedicata all’esplorazione di ambienti titanici e labirintici, alla ricerca della strada giusta per avanzare. I percorsi, tuttavia, risultano generalmente molto guidati, con poco spazio lasciato all’improvvisazione o alla libertà d’azione.
Gli enigmi ambientali, sebbene numerosi e ben distribuiti, si risolvono più grazie al tempismo che alla logica, risultando spesso più una prova di coordinazione che di vero ingegno.
Le sezioni platform, inizialmente piuttosto semplici e ripetitive, acquisiscono una certa dinamicità man mano che l’avventura procede, grazie all’introduzione di ostacoli più complessi e a qualche spunto creativo di level design. Tuttavia, anche nei momenti migliori, non riescono mai davvero a stupire o a lasciare il segno.
Purtroppo, l’esplorazione soffre di una certa piattezza strutturale: pochi segreti, ricompense poco significative e un backtracking poco motivante finiscono per spegnere la voglia di addentrarsi nei meandri delle mappe. Steel Seed funziona bene come corsa in avanti, ma lascia insoddisfatti coloro che cercano un mondo più profondo e ricco di scoperte.
Tra pregi e limiti di un mid-budget ambizioso
Dal punto di vista tecnico, Steel Seed riesce davvero a sorprendere. Nonostante il budget contenuto, il gioco mette in scena ambientazioni rifinite, capaci di trasportare il giocatore in un mondo decadente e malinconico, sospeso tra il fascino della rovina e la freddezza di strutture futuristiche abbandonate. L’uso sapiente delle luci volumetriche, delle texture ad alta definizione e di un’illuminazione dinamica che filtra attraverso anfratti metallici e panorami industriali restituisce una resa eccezionle.
Dal punto di vista artistico, il gioco colpisce per il design dei robot e delle architetture: linee fredde, superfici corrose e colori desaturati si mescolano a inserti di tecnologia avanzata, creando un contrasto visivo forte e affascinante. Anche l’uso del motion blur e dei particellari è calibrato con intelligenza, arricchendo la scena senza mai appesantirla. Il tutto servito su Xbox Series X in salsa ultra fluida.
Tuttavia, la colonna sonora non riesce a raggiungere la stessa qualità del comparto visivo: i temi musicali, seppur funzionali, risultano spesso anonimi e poco incisivi, finendo per accompagnare l’azione senza lasciare un vero impatto emotivo. A peggiorare l’esperienza si aggiungono crash improvvisi e glitch fastidiosi, tra cui la possibilità di finire fuori dalla mappa senza modo di rientrare, costringendo spesso a ricaricare l’ultimo salvataggio.
Quando il cuore non basta
Steel Seed è uno di quei progetti che ti fanno venire voglia di tifare per lui fin dal primo istante: un videogioco ambizioso, ricco di idee originali, capace di mostrare lampi di vero talento artistico e tecnico. Le ambientazioni mozzafiato, il worldbuilding malinconico e alcune buone trovate di gameplay stealth riescono a regalare momenti davvero convincenti, specialmente nelle prime ore di gioco.
Tuttavia, questi elementi positivi non bastano a costruire una vera identità: la narrazione piatta, priva di veri picchi emotivi, un progresso poco gratificante e un’esplorazione poco incentivante impediscono a Steel Seed di raggiungere il suo pieno potenziale. A complicare ulteriormente il quadro, si aggiungono alcuni problemi tecnici che spezzano il ritmo e compromettono l’esperienza complessiva.
VOTO 6.5/10
Pro
- Ottima direzione artistica
- Worldbuilding affascinante
- Gameplay stealth funzionale
Contro
- Narrazione piatta
- progressione poco appagante
- esplorazione debole
- problemi tecnici bloccanti