
Non è un mistero: i giochi di strategia a turni non sono esattamente il mio pane quotidiano. E dire che sono cresciuto a suon di XCOM e ho consumato ore su Mutant Year Zero… ma no, alla fine preferisco la cara, vecchia, ignorante azione senza troppi pensieri. Eppure, quando ho sentito che Chains of Freedom si ispirava proprio a quei colossi, la curiosità ha preso il sopravvento. Puntare ai giganti del genere è sempre coraggioso. Raggiungerli, però, è tutta un’altra storia.
La triste realtà? Chains of Freedom è incredibilmente nella media. In ogni singolo aspetto. Qualcosa funziona meglio di altro, certo. Ma nel complesso parliamo di una delle esperienze più dimenticabili che mi siano capitate nel genere. Niente che si rompa, niente che faccia cantare. Solo una distesa infinita di grigio.
Una storia già sentita
Chains of Freedom è ambientato in un mondo post-apocalittico governato da un regime religioso-fascista nato dopo che una misteriosa sostanza ha devastato l’umanità. Una tipica ambientazione sci-fi, già vista mille volte.
Prendi il controllo di una squadra di soldati di questo regime, a caccia di una cellula ribelle nelle terre devastate. La trama cerca qualche colpo di scena, ma finisce per seguire i soliti cliché. Complice un doppiaggio fiacco e una scrittura poco ispirata, dimenticavo quello che succedeva praticamente subito dopo averlo letto.
Combattimento buono, stealth pessimo, esplorazione inutile
Dal punto di vista del gameplay, Chains of Freedom si divide in tre sezioni: combattimento, esplorazione e stealth.
Il combattimento è la parte migliore. Gli scontri a turni funzionano bene e l’idea di dover razziare munizioni durante la battaglia aggiunge una nota interessante. Le abilità sono varie, le armi diverse, e si sente che qui il team ha messo anima e competenze.
Lo stealth invece è disastroso. Confuso, impreciso, frustrante. Capire quando un nemico ti vede è una lotteria e alla fine ho smesso di provarci.
L’esplorazione è poco più di un riempitivo. Si attraversano campi devastati, miniere, caverne, con qualche enigma leggerissimo e la solita caccia ai rifornimenti.
Sistema di potenziamento interessante ma caotico
Una cosa interessante è il sistema di potenziamento dei soldati. Utilizzi proprio la sostanza che ha distrutto il mondo per migliorare i tuoi uomini: mira, armatura, abilità speciali. Ogni soldato parte con due slot per questi miglioramenti, ma può arrivare a cinque.
La personalizzazione è divertente: puoi creare un cecchino, un tank, un healer… sempre che la fortuna ti assista, perché gli upgrade che trovi sono casuali.
Tecnicamente solido, artisticamente dimenticabile
Dal punto di vista tecnico, Chains of Freedom funziona bene: nessun bug, nessun crash. E visto lo stato pietoso di molte uscite recenti, già solo il fatto che il gioco funzioni è degno di nota.
Graficamente è… ok. Niente di brutto, ma niente che ti faccia dire wow. I nemici sono simpatici da vedere, ma i soldati (sia tuoi che avversari) sono completamente anonimi. Il sonoro fa il suo compitino, mentre il doppiaggio è purtroppo imbarazzante. La musica? C’è, ma non te ne accorgerai nemmeno.
Poca personalità
Chains of Freedom non è un brutto gioco. Ma nemmeno un buon gioco. È l’apoteosi della mediocrità: tutto è troppo sicuro, troppo banale, troppo privo di personalità.
Finisci la partita e ti rendi conto di non ricordare quasi nulla di quello che hai appena giocato. E in fondo, questo è il vero peccato mortale per qualsiasi forma di intrattenimento: essere dimenticabile.
Se sei un fan sfegatato dei tattici a turni e lo trovi in offerta stracciata, potresti farci un pensierino. Altrimenti, ci sono titoli decisamente migliori su cui investire tempo e soldi.
VOTO 5.5/10
Pro
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Combattimento solido
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Sistema di potenziamento interessante
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Tecnicamente stabile
Contro
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Anonimo
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Stealth impreciso e frustrante
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Trama e doppiaggio fiacchi: La storia è già sentita e la recitazione non aiuta certo a migliorare l’esperienza.