
David Pateti entra ufficialmente nel mondo dell’horror con Mortisomem, e ragazzi, è il suo miglior gioco di sempre.
In questo titolo vestiamo i panni di Donald Barnes, un mercante americano emigrato in Brasile, che dopo una serata movimentata al bar locale si ritrova inseguito da una creatura terrificante armata di frusta gigante: il mortisomem. Un demone folkloristico che sembra deciso a rovinarti la passeggiata verso casa.
Con uno stile rétro e un’estetica VHS che ricorda i lavori di Puppet Combo, Pateti confeziona un’esperienza horror compatta, inquietante e assolutamente affascinante.
Atmosfera da brivido
Mortisomem dimostra che non servono grafiche ultra realistiche per creare tensione. Personaggi poligonali, texture sgranate e design minimalista bastano per costruire un’atmosfera da pelle d’oca.
La nebbia, onnipresente, riduce drasticamente la visibilità, proprio come in Silent Hill. Questo, unito a una mappa grande ed esplorabile liberamente, amplifica la sensazione di smarrimento. Non c’è un ordine preciso per completare gli obiettivi: puoi scegliere il tuo percorso.
La musica ambientale è semplicemente perfetta e il sound design fa un lavoro eccellente: tra rumori misteriosi dalla foresta e passi del mortisomem che ti piombano addosso all’improvviso, il cuore ti balzerà in gola più di una volta.
Gameplay corto ma intenso
Se da una parte atmosfera e suono sono eccezionali, il gameplay ha qualche scivolone. Mortisomem è, in sostanza, un walking simulator horror con ampi spazi da esplorare e tanto backtracking.
Le prime apparizioni del mortisomem sono da salto sulla sedia garantito. Dopo la quarta o quinta volta però, l’effetto sorpresa svanisce e inizia a diventare una routine prevedibile.
Il gioco dura circa 1-2 ore, a seconda di quanto esplori o decidi di dedicarti alle missioni secondarie. Ogni chiave da recuperare è associata a una piccola sfida o enigma, anche se alcune sezioni, tipo quella platform, potrebbero farti bestemmiare in più lingue.
Visto il prezzo contenuto, però, è assolutamente un titolo da provare.
Inventario: il vero mostro del gioco
Se pensavi che il mortisomem fosse il tuo nemico peggiore, aspetta di fare i conti con il sistema di inventario.
Hai pochissimi slot e la lanterna, la pistola e le munizioni ne occupano già la metà. Devi portare anche tre chiavi per proseguire… e addio spazio per altro. Il risultato? Lasciare oggetti ovunque e correre avanti e indietro a recuperarli. Fastidioso è dire poco.
Gestire l’inventario dovrebbe essere una sfida intelligente in un survival horror, non un motivo per voler lanciare il controller contro il muro.
Controlli legnosi e qualche bug fastidioso
Parliamoci chiaro: i controlli hanno bisogno di un bel po’ di amore.
Per esempio, per sparare devi premere una combinazione di tasti poco intuitiva (RB più B, invece di RT). Non c’è nessun tutorial, nessuna indicazione: impari tutto a suon di tentativi ed errori.
Durante il boss finale mi sono ritrovato bloccato più volte nell’animazione di ricarica, costringendomi a riavviare lo scontro. Per fortuna raccogliere tutte le munizioni prima del combattimento ha risolto il problema.
Lore affascinante ma finale sottotono
Il lore è uno dei punti più forti di Mortisomem. Gli NPC ti raccontano storie sul demone, e trovi lettere e riferimenti storici sulla guerra tra Brasile e Paraguay, che arricchiscono il contesto in modo incredibile.
Peccato che il boss fight finale non sia all’altezza di tutta l’attesa creata. L’atmosfera rimane angosciante grazie alla musica martellante, ma l’incontro in sé è piuttosto semplice e non serve molto per sbloccare i diversi finali.
Mortisomem: sì o no?
Nonostante parecchi difetto, Mortisomem è una perla per gli amanti dell’horror rétro low-budget. Con una miglior gestione dell’inventario, controlli più fluidi e una campagna un po’ più lunga, avrebbe potuto diventare un vero cult.
Così com’è, rimane comunque un’esperienza breve ma intensa, capace di regalarti un paio d’ore di sana tensione nella nebbiosa foresta brasiliana.