La Prima Guerra Mondiale è una delle tragedie più documentate della storia, e Conscript tenta qualcosa di unico: trasformare questo conflitto in un survival horror. Non c’è bisogno di mostri o sovrannaturale; la guerra stessa è il nemico. Con un’atmosfera oppressiva e una fedeltà storica lacerante, Conscript si distingue, ma il suo gameplay spietato e spesso ripetitivo rischia di mettere alla prova anche i giocatori più pazienti.
Nei panni di André, un soldato francese alla ricerca del fratello disperso durante la battaglia di Verdun, il giocatore viene gettato in un mondo di fango, sangue e disperazione. La narrativa, seppur semplice, è raccontata con efficacia attraverso piccoli dettagli ambientali, documenti e brevi cutscene. Ogni angolo delle trincee trasmette la brutalità della guerra: corpi abbandonati, armi spezzate e soldati in preda alla follia. È un ritratto crudo e realistico di un conflitto che ha segnato un’epoca.
Un gameplay tra tensione e frustrazione
Il gameplay di Conscript segue le orme dei classici survival horror, con un forte focus sulla gestione delle risorse, esplorazione e combattimenti metodici. L’approccio top-down e la pixel art retro richiamano i titoli del passato, ma non per questo risultano meno immersivi. Le trincee sono labirinti angoscianti, dove ogni passo potrebbe nascondere un nemico o un pericolo mortale. La scarsità di munizioni e la lentezza delle armi aumentano la tensione, rendendo ogni scontro una decisione strategica. Correre via è spesso l’opzione migliore, ma non sempre possibile.
Nonostante l’atmosfera impeccabile, il gameplay presenta alcuni limiti che rischiano di alienare il giocatore. Il backtracking è eccessivo, costringendo a percorrere le stesse aree più volte, spesso senza nuove sorprese o motivazioni narrative. L’inventario ridotto, combinato con l’assenza di punti di salvataggio ben distribuiti, amplifica la frustrazione. Inoltre, alcune meccaniche come lo stealth sono poco rifinite, risultando più un’idea abbozzata che una strategia effettiva.
Audio e Grafica: una sinergia magistrale
Audio e grafica lavorano strettamente uniti, elevando l’esperienza di gioco, immergendoci nel terrore e nella desolazione più totali della Prima Guerra Mondiale.
L’audio è straordinariamente efficace nel costruire un’atmosfera di tensione costante. I suoni ambientali sono cupi e penetranti: l’eco distante di spari, i passi ovattati nel fango e le urla disperate dei soldati fanno sentire il giocatore intrappolato sul campo di battaglia. Anche il silenzio è usato magistralmente, creando un contrasto che rende ogni improvvisa esplosione o scontro ancora più sconvolgente. La colonna sonora, pur minimalista, sottolinea i momenti più critici con toni bassi e ossessivi, amplificando il senso di disagio.
Visivamente, Conscript sfrutta una pixel art retro che riesce a trasmettere un’impressionante profondità emotiva. Le trincee, con il loro grigiore sporco e i dettagli opprimenti, diventano un personaggio a sé, intrise di fango, sangue e disperazione. Gli effetti di luce, come il baluginare di una fiamma o il riflesso di un’arma, spezzano l’oscurità con una precisione sorprendente, creando momenti visivamente suggestivi. Un ulteriore tocco di classe sono le cutscene in stile graphic novel, che alternano il gameplay con immagini evocative e ben realizzate. Questi momenti narrativi aggiungono pathos alla storia, rappresentando in modo crudo e artistico l’orrore della guerra.
Un viaggio brutale nell’orrore della guerra
Conscript è un gioco che fa riflettere. Non si limita a essere un survival horror; è un omaggio alla memoria storica, un’esperienza che tenta di far comprendere anche solo in minima parte l’orrore della Prima Guerra Mondiale. Tuttavia, questa ambizione è spesso ostacolata da un design che confonde difficoltà con tedio. Il ritmo lento e le meccaniche punitive rischiano di stancare chi non è disposto ad accettare il suo approccio spietato.
Per chi è disposto a tollerare i suoi difetti, Conscript offre un’esperienza unica, intensa e memorabile. Ma non è per tutti: è un gioco che ti chiede di soffrire, non solo per sopravvivere, ma per capire cosa significava essere un soldato in una guerra che avrebbe dovuto essere “l’ultima”.